Negli ultimi anni sono esplosi diversi fenomeni e attività grazie ai Social Media. Diversi brand (dove per brand si intendono anche liberi professionisti e influencer) si sono affermati grazie a campagne studiate con cura. E qui, il marketing detta indubbiamente le sue leggi. Accanto, però, troviamo l’immagine in cui i follower si rispecchiano. E qui, subentra un secondo aspetto, non meno importante del primo: l’empatia. Senza empatia non c’è rispecchiamento e senza rispecchiamento non c’è condivisione.
La terza parola è proprio la condivisione. Negli ultimi anni i gestori dei Social tendono a enfatizzare la vetrina. In tal modo assecondano l’esposizione, quindi la confezione, impeccabile e priva di sbavature. Ma facendo così, non arrivano all’obiettivo, almeno non completamente. Non basta, infatti, scegliere le migliori foto filtrate o no, la citazione accattivante, gli emoticon che attirano l’occhio; occorre pensare a contenuti che abbraccino la molteplicità delle esperienze, toccando corde profonde e, al contempo, temi che possano interessare .
Le domande da porsi sono queste: che cosa può piacere al mio potenziale pubblico? Che cosa lo può spingere a condividere i miei post? E cosa può portarlo al commento?
Il pensiero accorpa ragione e sentimento, insomma. Perché la perfezione del contenuto non deve essere mai fine a sé stessa e non è nemmeno quella che avvicina i lettori, malgrado l’occhio abbia la sua parte importante (siamo nell’era dell’immagine, ricordiamolo). Piuttosto è la generazione di contenuti di valore, in cui gli utenti possano indentificarsi, il vero must have per una strategia Social vincente. Contenuti che possono avere anche graffi; ma quei graffi possono rispecchiare chi arriva sulla nostra pagina per curiosità o per algoritmo. E allora il cuore fa clic insieme al dito.